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Daniele Nuccio scrive a proposito della questione meridionale e del senso di “comunità” da riscoprire

Impietosa l’analisi de “L’Espresso” che nel numero in uscita il 10 settembre scorso titolava:
“E’ sparito il Sud”.

Una serie di considerazioni sullo stato di salute del meridione d’Italia.

Durante tutto il Novecento si è parlato e scritto tanto sull’argomento.

Pensate, già nel 1926 Antonio Gramsci iniziava il suo saggio, mai ultimato, “Alcuni temi della questione meridionale”.

E se il Paese, nonostante giungano i primi segnali di una timida ripresa, sembra ancora stretto nella morsa della crisi economica, nelle drammatiche stime che danno la disoccupazione giovanile oltre il 44 % (su un dato generale al 12 %), impantanato nei quotidiani sviluppi degli scandali giudiziari, è proprio a Sud che queste criticità emergono ancora di più.

“Capitale corrotta = Nazione infetta”, scriveva il giornalista recentemente scomparso Manlio Cancogni proprio sul settimanale sopra citato, quasi sessant’anni fa.

Sì, perché un Paese dove i familiari dei boss criminali sono legittimati a presenziare e pontificare dalle reti del servizio pubblico mentre i migliori autori di satira ne sono banditi, dove delegati leghisti al Parlamento Europeo possono teorizzare sulla necessità di usare il filo spinato elettrificato per fronteggiare l’emergenza migranti, dove l’agenda culturale è soggetta quasi esclusivamente agli indirizzi del “mercato” e dove le linee guida per l’Esposizione Universale (nella patria della dieta alimentare per eccellenza) vengono dettate dalle multinazionali del cibo, ecco che questo è un Paese senza prospettiva, un Paese che ha smarrito la sua identità.

Dicevo, a Sud queste criticità emergono ancora di più.

L’annosa mancanza di programmazione, la difficoltà ad utilizzare i fondi che la tanto vituperata Europa mette a nostra disposizione, la costante deriva migratoria che caratterizza le nostre migliori risorse intellettuali che vanno ad arricchire altre comunità del mondo, la quasi totale assenza di strategie commerciali mirate alla condivisione delle nostre risorse con il bacino Mediterraneo, una visione dello sviluppo industriale del tutto distorta (in Sicilia all’implementare le condizioni per una maggiore ricezione sul piano turistico si preferisce avviare una nuova campagna di ricerca di idrocarburi…), solo alcune delle problematiche che caratterizzano ad oggi i territori del meridione.

E’ come se si fosse smarrito l’orizzonte e si navigasse a vista, in un momento drammatico per le finanze dello Stato.

E questa condizione di ristrettezza economica si ripercuote drammaticamente sulla società, acuendo i conflitti “fra poveri”, aumentando il divario fra classi sociali e smantellando quotidianamente quel “senso di comunità” che è il collante stesso di una società sana e matura.

Sembra essersi abbassato, fatti salvi quei presidi di legalità che ancora insistono nel territorio, il livello di guardia rispetto ai fenomeni criminali.

Eppure dalla recente relazione semestrale, relativa all’operato della Direzione Investigativa Antimafia, emerge un quadro assai preoccupante sulla vitalità delle maggiori organizzazioni criminali nel Paese.

Di “Cosa Nostra” si legge: “rappresenta ancora una galassia fortemente strutturata e pervasiva, con una spiccata territorialità nella regione d’origine ed una significativa capacità trasversale di condizionamento e infiltrazione dei contesti socio-politico-economici”.

Per troppo tempo a mio modo di vedere, spenti i riflettori del periodo post-stragi e conseguenti conquiste della società civile, si è pensato che per formare le nuove generazioni con i necessari anticorpi fossero sufficienti una serie di proiezioni di film e qualche estemporaneo progetto scolastico volto a rafforzare nient’altro che l’ego di qualche docente.

Tornare nelle scuole è cosa importante.

Partire dalle nuove generazioni probabilmente l’ultima speranza che rimane ad un Paese stanco e ad un meridione perso nelle sue contraddizioni.

Allo stesso tempo è importante portare loro a conoscenza del divario che ancora regna fra “centro” e “periferie”, fra nord e sud del mondo.

Far conoscere loro la storia di Maurizio Ciaculli, l’imprenditore agricolo di Vittoria e dirigente di “Altragricoltura” che in passato si è messo contro la grande distribuzione ed al quale di recente è stata distrutta l’azienda perché si è opposto al racket.

Far scoprire loro la grandezza della storia e della cultura che ha forgiato le nostre identità, la chiave di lettura per poter avviare il cambiamento e riscoprire la “comunità”.

Dire loro che a cotanta mediocrità, barbarie ed ignoranza, nel tempo, a fare da contrappeso, vi erano Leonardo Sciascia, Luigi Pirandello, Danilo Dolci, Ignazio Buttitta e Renato Guttuso.

Approfondire costantemente quello che qualcuno definì “il pensiero meridiano” lo strumento più efficace per realizzarlo, il cambiamento.

Un percorso lungo, che ha estremo bisogno di esempi di coscienza civica e spirito critico.

Daniele Nuccio

redazione

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