Stamane nel giro di poco tempo ho letto un romanzo ed è stata un’esperienza piacevole. Era da alcuni giorni che mi rigiravo tra le mani un po’ di libri, che iniziavo a leggere ma dopo poche pagine abbandonavo. Mi capita spesso di fare esperienze di questo genere anche con libri molto belli che in seguito riprendo a leggere scoprendo di essermi sbagliato. Avevo fatto varie scelte mettendo in primo piano i libri della cinquina finalista del Premio Strega che ancora non avevo letto. Ciò dimostra che non sempre bisogna fidarsi dei suggerimenti che provengono dai premi letterari o dalla classifica dei libri più venduti come “Santa degli impossibili” di Daria Bignardi pubblicato dalla Mondadori. A dispetto delle classifiche, il romanzo della giornalista ferrarese avevo deciso di scartarlo , eppure oggi aprendo il libro, la lettura è scivolata via senza intoppi, in poco più di un’ora ho letto il libro che piuttosto andrebbe classificato nelle narrazioni brevi. Il vocabolo che mi viene da dire all’istante è leggerezza, sembra che l’autrice abbia giocato più a togliere che arricchire la narrazione tentando di cogliere il suggerimento di Italo Calvino in “Lezioni americane”. Ma quando si toglie troppo si rischia di evocare sensazioni, sentimenti , dimensioni psicologiche in maniera frammentaria e incompiuta. Si arriva alla fine del libro e il lettore si chiede più volte se davvero la storia sta per concludersi quando si ha l’impressione di essere all’inizio nonostante i tanti flashback che raccontano le vicende di una coppia giovane in crisi. L’altro elemento debole del libro lo ritroviamo nel sistema dei personaggi, lei, giovane sposa, giornalista, che ha rinunciato al lavoro per dedicarsi ai figli e adesso vive crisi profonda. Il marito, personaggio appena abbozzato, che ad un certo punto diventa anche lui voce narrante interna alla storia e i figli, i gemelli troppo piccoli per avere voce in capitolo. Infine una bambina, la primogenita, che racconta anche lei dal suo punto di vista la storia ed ha un legame forte con la madre. È necessario che gli scrittori come i cineasti si rendano conto che ogni forma d’arte ha dei limiti da rispettare. Un film come quello che Paolo Sorrentino ha presentato al Festival del Cinema di Cannes che dichiaratamente ha come filo conduttore la leggerezza ci presenta allo stesso modo di Daria Bignardi frammenti di storie, di sensazioni a volte molto intense che probabilmente avrebbero avuto una resa migliore nelle mani di un pittore.
Vincenzo Piccione