Da Guantanamo all’Università in Kenia, la storia, senza andare troppo indietro nel tempo, ci ha dato un esempio concreto, purtroppo, del significato di genocidio e tortura. Il concetto lo ha capito anche chi era presenta la sera del 21 luglio 2001, lo ha capito Vittorio Agnoletto, Don Andrea Gallo, il vicequestore Michelangelo Fournier. Ma lo ha capito anche chi ha visto i video, i documentari, le testimonianze, le ricostruzioni cinematografiche. I cosiddetti “fatti” alla scuola Diaz, durante il noto G8 di Genova, fu tortura da parte dei reparti mobili della Polizia di Stato che hanno massacrato di botte, facendo irruzione, gli attivisti del Genoa Social Forum. Gli uni stavano dormendo, al massimo cantando una canzone, gli altri stavano picchiando a sangue. Da lì in poi ha preso il via un processo fatto di sparizioni, depistaggi, che ha visto coinvolti non solo dirigenti della Polizia di Stato ma anche politici, perché qualcuno dall’alto l’ordine di entrare in quella maledetta scuola, l’ha dato. E tra tutti ha pagato anche il Viminale. La sentenza di condanna definitiva oggi, a distanza di ben 15 anni, è stata aggravata, in senso positivo per chi si è indignato, dalla Corte europea dei diritti dell’uomo che, dopo il ricorso di Arnaldo Cestaro – che alla Diaz c’era e i segni li porta ancora addosso – si è pronunciata definendo come tortura la “macelleria messicana” della scuola Diaz di Genova. E pensare che c’è chi ancora difende quelle inaudite violenze, chi ancora parla di “iniziativa autonoma” della Polizia per tutelare chi ancora siede al Governo e non ha pagato il dazio più pesante, chi si cela dietro presunti black block a cui dare la colpa. Devono ancora pagare, loro. Io intanto ricordo solo tanto sangue all’interno di un edificio scolastico e manganelli e caos… e la copertina del “Manifesto” con Carlo Giuliani a terra in una pozza di sangue a forma di Stivale.