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Processo “Ipab Rubino”, l’ex direttrice condannata a 10 anni, il bidello a 9

Decretato un risarcimento danni per la persona offesa, in via provvisionale, pari a 60mila euro, ma i difensori ribattono: “Riteniamo ci siano contraddizioni nelle dichiarazioni della parte lesa. Ci appelleremo”

Il Tribunale collegiale presieduto dal giudice Sergio Gulotta ha pronunciato una sentenza di condanna per entrambi gli imputati: Giuseppa Signorelli, di 50 anni e Vincenzo Galfano, di 48, che prestavano servizio nella IPAB che si trova nell’omonima via. In particolare Giuseppa Signorelli svolgeva mansioni di direttrice, mentre Galfano era bidello. L’accusa nei loro confronti è “violenza sessuale continuata e aggravata in danno di una minorenne”. Il Tribunale ha condannato Signorelli a dieci anni di reclusione e Galfano a nove, per entrambi è stata disposta l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e dalle scuole e dai luoghi frequentati da minori. È stato anche disposto un risarcimento in via provvisionale pari a 60mila euro in favore delle parti civili. In sede di requisitoria il pubblico ministero Sabrina Carmazzi aveva invocato una condanna a dieci anni di reclusione per entrambi. Il pm ha pronunciato una requisitoria circostanziata e ha sottolineato quanto emerso in aula, punto per punto, soffermandosi sulle varie testimonianze rese soprattutto dagli ex ragazzini che frequentavano la struttura assistenziale “Rubino” negli anni in cui sarebbe stato commesso il reato contestato.Secondo il pubblico ministero “La Signorelli era colei che chiamava la ragazzina nella sua stanza, ma Galfano spesso era già nella stanza”. Anche l’avvocato di parte civile Natalie Lo Sciuto – che assiste la persona offesa e la madre della ragazza, da poco divenuta maggiorenne – si era associata alla richiesta di condanna e aveva presentato una comparsa conclusionale e una richiesta di risarcimento danni al collegio giudicante presieduto dal giudice Sergio Gulotta (a latere Iole Moricca e Tommaso Pierini). “Proporremmo appello avverso la sentenza di primo grado – hanno detto gli avvocati difensori Stefano Pellegrino e Roberta Piccione –, rimanendo convinti della estraneità dei nostri assistiti ai gravi fatti contestati e auspicando il favorevole esito del processo innanzi il giudice di Appello. Riteniamo di dover impugnare la sentenza perché abbiamo riscontrato contraddizioni e inverosimiglianze nel racconto della persona offesa. Inoltre nella nostra discussione è stato evidenziato il rischio che l’accusa fosse strumentale al risarcimento del danno”.

Chiara Putaggio

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Tags: abusoProcesso