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L’Isis, i venti di guerra e l’aeroporto di Birgi

A leggere le cronache dei giornali, una nuova guerra nel Mediterraneo sembrerebbe alle porte. Da un lato le dichiarazioni dei capi dell’Isis, che dopo l’avanzata in Libia hanno detto in maniera inquientante “Siamo a sud di Roma”. Dall’altro lato, gli appelli dell’Egitto a un intervento dell’Onu, mentre tra gli opinionisti cresce il fronte di chi vorrebbe passare subito alle vie di fatto.

Dell’Isis, in realtà sappiamo davvero poco. Nell’immaginario collettivo, i suoi uomini sono “i tagliatori di teste” che poi caricano sul web i video delle loro esecuzioni, come in uno dei tanti film horror che le nostre tv propongono in seconda serata. Ma nell’Isis stanno trovando ospitalità anche molti cittadini europei che hanno visto nel Califfato l’alternativa più estrema alle politiche economiche e sociali del capitalismo occidentale. Le informazioni, comunque, sono così parziali e frammentarie che si fa davvero fatica a capire come confrontarsi con l’Isis. Alimentare il panico per promuovere un intervento militare immediato è una strategia che ha il sapore del deja vu. E la storia recente dovrebbe insegnarci che spesso, scelte del genere, si sono trasformate in autentici boomerang.

La nuova crisi libica, comunque, ci riporta inevitabilmente indietro di quattro anni. A quando, in piena “primavera araba”, l’Italia contribuì alla missione militare contro il regime di Gheddafi mettendo a disposizione di una coalizione internazionale le proprie basi militari. Tra cui quella di Birgi. La provincia di Trapani pagò un prezzo molto alto nelle settimane in cui l’aeroporto fu chiuso al traffico civile e dai servizi dei tg nazionali sembrava che la guerra si stesse combattendo qui in Sicilia Occidentale. Centinaia di prenotazioni furono annullate quando stava per entrare nel vivo la stagione turistica, gli operatori si ritrovarono alberghi e bed and breakfast vuoti, e Ryanair sembrava sul punto di abbandonare definitivamente il “Vincenzo Florio”.

Due giorni fa, il Ministro Pinotti, evidentemente smaniosa di indossare la mimetica, dichiarava: “L’Italia è pronta a guidare in Libia una coalizione di paesi dell’area, europei e nordafricani, per fermare l’avanzata del Califfato”. Il premier Renzi, nelle ultime ore sembra però aver corretto il tiro, smentendo l’ipotesi di un intervento immediato. Tant’è che dalla base militare di Birgi fanno sapere che non si parla ancora di “stato di allerta”, né di misure di precauzione aggiuntive.

La situazione è chiaramente in evoluzione. Comunque vada, ci auguriamo che le decisioni prese possano essere ben meditate.

Vincenzo Figlioli

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