Categorie: Cineautistica: lettere dalla poltroncina

American Sniper

“Ci sono tre tipi di persone: le pecore, i lupi e i cani pastore.”
Su questa frase si incentra l’ultimo film del regista Clint Eastwood, su questa frase si incentra tutto ciò che deve sapere sugli uomini il protagonista Chris Kyle.
Tratto dall’omonima autobiografia di Chris Kyle U.S. Navy SEAL, “American sniper”, seguendo il punto di vista univoco del protagonista, nasce come un film sulla guerra per diventare un film sull’idealismo che, travestito da patriottismo, si trasforma in fanatismo e viene riconosciuto come eroismo, e ci dice a chiare lettere che in ogni “ismo” si nasconde qualcosa di profondamente spaventoso.
Eastwood è il regista più adatto a questo film, il caro vecchio Clint con le sue bandiere americane sul portico di casa ma che riesce a raccontare la guerra secondo punti di vista opposti come in “Flags of Our Fathers” e “Letters from Iwo Jima”.
A caldo ci può sembrare che Eastwood non ci dia mai il suo punto di vista (dopotutto, come potrebbe, deve attenersi ad un’autobiografia!), ma mi è sembrato di scorgerlo in una scena in particolare, un dettaglio che il protagonista non può conoscere, ma che il regista inserisce per palesare la sua presenza fino a quel momento ben celata dietro la macchina da presa, quel dettaglio è il suo parere e non ha potuto esimersi dal comunicarcelo, quella scena diventa un tarlo che si fa vessillo della neutralità del regista in un film che ha un solo punto di vista. Per il resto, Clint ci racconta una storia e lo fa con grande tecnica.
Chris Kyle, un “manzissimo” Bradley Cooper perfetto nel ruolo del ragazzone texano cresciuto a caccia e rodei, secondo la classificazione umana insegnatagli dal padre sa di essere un cane pastore che deve proteggere gli agnelli dai lupi; quindi si sottopone ad un addestramento mortificante che rimanda a “Full metal jacket” e diventa il miglior cecchino che i SEAL abbiano mai avuto per proteggere i marines dai terroristi.
Chris si distingue subito per la sua mira infallibile e viene appellato “la Leggenda” dai suoi compagni, è instancabile nel compiere il suo dovere, è fedele all’ideale di “Dio, patria, famiglia” e proprio per ultima viene la famiglia; una famiglia composta da una moglie che viene lasciata sola, due figli concepiti nelle pause tra un “turno iracheno” e l’altro, l’incapacità di lasciarsi tutto alle spalle quando torna a casa finché tutto non sarà finito, finché il suo obiettivo non sarà raggiunto, finché “il lupo” non sarà ucciso.
Il lupo in questo caso è il cecchino avversario, un tiratore olimpionico siriano al servizio dei terroristi e Clint ce lo racconta ricordandoci i vecchi fasti del duello nel selvaggio west a lui tanto caro.
Ed è una volta raggiunto l’obiettivo che tutto si mescola, che Chris entra in crisi… che una tempesta di sabbia ci rende impossibile distinguere gli agnelli dai lupi.
Chris è pronto, può tornare a casa portandosi sotto braccio lo stress post-traumatico e il forte rammarico per gli agnelli che non è riuscito a proteggere; agli occhi dello spettatore ora Chris è umano.
Per la tematica trattata viene naturale il paragone con il bellissimo film del 2008 di Kathryn Bigelow, “The hurt locker”, in cui la regista applica al tema una capacità narrativa incalzante che non perde un colpo dal primo all’ultimo secondo; da questo punto di vista la pellicola di Eastwood ne è ben lontana, seppur mantenendo una qualità molto alta con alcune scene a sospenderci il fiato.
Sono molto contenta di aver rivisto, finalmente, il buon vecchio Clint Eastwood alla regia di questo film, vista la produzione, per me deludente, degli ultimi anni; ma è Clint, è un vecchio amico di famiglia… gli si perdona la delusione e si torna a vederlo, nel bene o nel male.

Daniela Casano

Vincenzo Figlioli

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Tags: American sniperClint Eastwood