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Il futuro è nella Costituzione

“Se costruiamo qualcosa insieme, siamo capaci di subire tutte le regole dell’Europa e del Governo”. Con queste parole Roberto Benigni è tornato in tv per il nuovo corso della trasmissione “Ballarò”. Ha parlato di futuro, di un’Italia migliore. Ciò mi ha fatto venire alla mente quella volta in cui l’attore toscano lesse gli articoli della Costituzione Italiana come se fossero versi poetici. Perché la nostra legge fondamentale è una delle tante “grandi bellezze” del nostro Paese, eppure neanche ci si rende conto di quanto essa venga disattesa. E non vuole essere retorica. Se gli articoli 1 e 4 affermano che la Repubblica italiana è fondata sul lavoro creando le condizioni per renderlo effettivo, il massimo organo dello Stato deve garantirlo. Ed invece in Italia il lavoro, quello fisso in particolare, sta scomparendo come un animale in via d’estinzione, dietro le lacune del Libro Bianco di Biagi, dietro le sgomitate per modificare l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Le elezioni del 2001 hanno creato un’escalation di conseguenze sul piano politico e sindacale dannosa: dalla concertazione si è passati al dialogo sociale, giungendo ad una forma ibrida più unilaterale che altro: oggi il Governo prende le sue decisioni senza collaborare con le forze sindacali i cui accordi triangolari sono solo un ricordo ormai vago. Un sistema, il nostro, in cui il cittadino si allontana sempre di più dai propri rappresentanti di Governo eletti all’interno di liste formate dagli stessi partiti politici. Per non parlare della completa assenza di meritocrazia che non rende tutelabile le uguaglianze di cui all’articolo 3. Se l’articolo 9 afferma insindacabilmente che la Repubblica tutela il patrimonio artistico, perché non ci sono i soldi per salvaguardare le rovine di Pompei, la Reggia di Caserta, per dare linfa ai musei siciliani, il Teatro Verga o quello di Taormina? E quante violazioni alla libertà di manifestare il proprio pensiero con ogni mezzo sono state perpetrate negli ultimi 20 anni di Governo? Cosa direbbe l’assemblea costituente se sapesse che la scuola non è aperta a tutti, soprattutto ai precari, che gli studenti fanno lezione in edifici fatiscenti e che d’inverno muoiono dal freddo? Che la tutela del risparmio delle famiglie (art. 47) è messa a dura prova da un “blocco” dei libretti al portatore? Cosa penserebbero del fatto che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della capacità contributiva (art. 53) ma che in Italia ancora non c’è un sistema che combatte l’evasione? Siamo il Paese in cui il titolo V della parte II della Costituzione, benché entrata in vigore nel ’48, è stato applicato solo negli anni ’70. L’Italia è uno dei pochi paesi al mondo che dovrebbe pagare il debito a sé stessa. Io spero, come Benigni, che un giorno questo debito venga cancellato.

Claudia Marchetti

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