Invitato allo studio Otium per presentare “Malerba”, scritto a quattro mani con l’ergastolano Giuseppe Grassonelli, il giornalista del Tg5 Carmelo Sardo ha restituito al pubblico marsalese il valore di una storia che parte dalle guerre di mafia della Sicilia degli anni ’80 e che arriva fino ai nostri giorni. Una storia che racconto un percorso umano di cambiamento, che ha portato “Malerba” a vincere la ventiseiesima edizione del premio “Racalmare – Leonardo Sciascia”, ma anche diverse polemiche sull’opportunità di questo riconoscimento.
Com’è nato questo libro?
Malerba nasce come completamento di un percorso di grande recupero di un uomo che ha sbagliato in una parte della sua vita e che sta pagando con l’ergastolo ostativo. Stimolato dal suo professore di filosofia Giuseppe Ferraro ha voluto esorcizzare il suo passato decidendo di scrivere un libro. E lì Giuseppe Grassonelli si è ricordato di me e dei servizi che realizzavo per L’Ora e Teleacras quando stava portando avanti la sua vendetta contro chi aveva ammazzato i suo familiari. Sono stato contattato dalle sorelle, che mi mandarono il manoscritto. Inizialmente mi sembrò interessante, ma un po’ grezzo. Dopo un’intervista andata in onda su Canale 5, il mio editor mi contattò dicendomi di miscelare le due fasi della sua vita e in “Malerba” troviamo infatti la parabola di un uomo che è andato all’inferno, è scampato a tre agguati, si è visto uccidere il nonno, lo zio, altri parenti e amici e che poi finisce sepolto in carcere dall’ergostolo ostativo, per non aver voluto collaborare con la giustizia. Ma c’è anche l’uomo nuovo, che ha deciso di riabilitarsi attraverso la cultura, studiando fino a laurearsi in Lettere e Filosofia.
Perchè Giuseppe Grassonelli non ha voluto collaborare con la giustizia?
Ha deciso di non collaborare ritenendo di non aver nulla da offrire e di non voler barattare la sua libertà con la condanna di altri soggetti che lo avevano aiutato nel suo progetto di vendetta.
La sua storia consente una riflessione sulla capacità del nostro sistema di dare nuove opportunità ai detenuti, favorendone la riabilitazione…
Giuseppe Grassonelli è il modello da esportare per far comprendere meglio quale dovrebbe essere il ruolo delle nostre carceri. Anche la nostra Costituzione, del resto, prevede che la pena punti al recupero del detenuto. A un Giuseppe Grassonelli che ha consentito allo Stato di dimostrare cosa può succedere in un carcere e che adesso riceve studenti da tutta Italia a fare antimafia vera, cosa offriamo in cambio? Nel nostro paese mandiamo in semilibertà uomini come Vallanzasca o Fioravanti, che si sono macchiati di crimini orribili e che sono stati condannati all’ergastolo comune. Mentre a Giuseppe Grassonelli, condannato all’ergastolo ostativo, non viene concessa nemmeno un’ora di permesso.
Intravede nella sensibilità mostrata sul tema dal Ministro Orlando segnali di un’inversione di tendenza?
I segnali ci sono. Ma concretamente succede ben poco. Qualche giorno fa ho fatto un servizio su una mostra di lavori artigianali realizzati da detenuti. Ho incontrato due ergastolani che non uscivano dal carcere da più di vent’anni. Si muovevano come marziani appena arrivati sulla terra. Ora non dico che bisogna liberare tutti, perchè la certezza della pena è un principio fondamentale. Ma mi addolora molto pensare che una grande intelligenza come Giuseppe Grassonelli debba essere sepolto in una cella due metri per tre.