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La Rai ha tanti meriti e tante colpe. I suoi sessant’anni sono il racconto della nostra storia repubblicana, di come abbiamo imparato a parlare tutti la stessa lingua e a frequentare (nel bene e nel male) un certo immaginario collettivo. Quando parliamo oggi del servizio pubblico, però, il primo pensiero non va al maestro Manzi, a Enzo Biagi o alle prime edizioni della Piovra. Va piuttosto a Vespa, Giletti, Conti, ai talent show e a un certo tipo di italianità, in cui le carriere non si costruiscono in base al merito o al talento, ma in base all’appartenenza politica o alla disponibilità a frequentare certi salotti o certe camere da letto. Dal 2001 in poi, dalla Rai sono scomparse alcune tra le migliori firme del giornalismo italiano, è scomparsa la satira, è scomparsa la qualità. In qualche raro sussulto di dignità, i dirigenti che si sono avvicendati hanno consentito sparute boccate d’ossigeno (Report, Presa Diretta, certe fiction, certi varietà) all’interno di un’identità generale all’insegna della mediocrità e della sottomissione al potere. Ad avere un peso determinante (ma non esclusivo) rispetto a questa situazione è stato sicuramente il conflitto d’interessi di Silvio Berlusconi con il risultato che qualsiasi provvedimento riguardante la Rai o il settore delle telecomunicazioni in generale finiva per puzzare di bruciato. Oggi, con la diffusione del satellite e del digitale terrestre, la stagione del duopolio Rai – Mediaset è ormai superata e la progressiva marginalizzazione politica di Berlusconi consente di affrontare laicamente la riforma del servizio pubblico, come sta provando a fare (tra mille resistenze) Matteo Renzi. Quel che ci piacerebbe, però, è che il governo non si limitasse ad annunciare di voler tagliare sprechi e privilegi. Ma che puntasse anche su una nuova gestione della Rai, capace di estromettere definitivamente la politica dalla direzione editoriale, valorizzando le energie migliori della tv di Stato, puntando su volti e linguaggi nuovi. Immaginate la Gabanelli alla direzione del Tg1, Riccardo Iacona al posto di Bruno Vespa, una striscia satirica quotidiana curata da Guzzanti o Luttazzi, e tanto spazio per la carica di creatività e  innovazione che ogni giorno illumina a macchia di leopardo la provincia italiana, ma di cui non c’è traccia in prima o in seconda serata. Sarebbe tutta un’altra Rai. E sarebbe sicuramente un paese diverso.

Vincenzo Figlioli

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