Categorie: Lettere

Bla bla bla bla… blatte. Perchè un’artista come Vito Linares ha desiderato parlare male delle sue cose?

Michelangelo aveva ripudiato la “Madonna della Scala” e altre sue opere, forse perché lo “stiacciato” gli appariva non idoneo per dare quell’idea di monumentalità, di vigore alla quale aspirava? Michelangelo lo sapeva bene che la difficoltà stava nel pensare a cosa c’è dentro e poi bisognava togliere di più “facendo gradualmente emergere le forme come dall’acqua di una “conca” che lentamente si svuoti” prendendo in prestito le parole del Vasari. “Parlare della tecnica come fosse arte è cadere in errore, la tecnica è metodo. Il mestiere è poco importante.

Vito Linares

Gli artisti sono coloro che vogliono inventare il futuro”, con queste parole il maestro Vito Linares ha inaugurato il suo monologo, un’entusiasmante scoperta del suo io enigmatico, eclettico, insaziabile perché “chi ne sa di più ha il dovere di dire le cose. Cerco di inventarmi un percorso per guardare avanti e pensare in grande”. Quando Vito Linares si oppose all’Accademismo e all’ordine vigente negli istituti dove aveva esercitato l’insegnamento di tecniche artistiche e storia dell’arte, aveva affermato la propria idea per la quale non può esservi arte senza impegno, devozione e passione. Nel formare generazioni di giovani artisti, attività portata ancora avanti con un’energia ed un entusiasmo senza pari, ha mostrato come egli concepisce la propria esperienza creativa come un messaggio da impartire all’umanità. Prezioso insegnamento appreso dal padre, il professore Matteo Linares, matematico, filosofo, poeta, un pensatore d’altri tempi, il quale asseriva: “prima viene la società, bisogna far crescere la società”. Crescere è conoscere il passato indispensabile per comprendere e apprezzare il presente, nel presente di deve guardare all’oggi. “In arte si va avanti così: TESI ed ANTITESI. La SINTESI è accademica”, dice Vito. Il primo grande pittore che iniziò questa rivoluzione per il nostro fu senza dubbio Cimabue, il quale aprì la pittura alla realtà volumetrica della figura umana e della profondità dello spazio. Immenso, elegante, splendente come la sua Maestà di Santa Trinità oggi agli Uffizi. E Giotto di Bondone? Colui che secondo Cennino Cennini “rimutò l’arte del dipingere di greco in latino e ridusse al moderno; ed ebbe l’arte più compiuta che avessi mai più nessuno?” Per Linares Giotto non ha fatto altro che portare avanti lo slancio innovativo del suo maestro “Cimbue”, le sue figure risultano ancora prive di volume, lontane da impianti prospettici. Tralasciando la scuola senese (Duccio di Buoninsegna, Simone Martini, Pietro e Ambrogio Lorenzetti), emiliana, veneta con un salto strategico si arriva a Masaccio. Della grandiosità innovativa di Masaccio sono però consapevoli tutti i contemporanei, la Cappella Brancacci è divenuta oggetto di studio per i giovani artisti fiorentini. Una carriera interrotta drammaticamente nel 1428, si pensa che sia stato avvelenato. Brunelleschi dirà: “abbiamo avuto una grande perdita”. Ad essere diversi, eccessivi, dannatamente veri, ci si trova ad essere emarginati, esiliati, crocifissi, ma per un artista è più importante difendere la propria dignità che indossare una maschera vuota e illusoria. Quando il “San Matteo e l’angelo” di Caravaggio fu presentato alla committenza, aspre critiche lo ridussero in un so che di “indecoroso” come il proprio maestro, il quale per tutta la sua carriera dovette affrontare una lunga serie di contrasti, censure e rifiuti perchè impietoso e sgradevole. Il pubblico rideva davanti a “quegli Assiri coperti da nugoli di insetti”, era il 1886 e gli artisti neoimpressionisti vennero aspramente criticati con un “fate dei puntini”. Lo stesso avrebbe fatto un secolo dopo Guttuso con un “fate degli scarabocchi” riferendosi agli artisti del Gruppo Forma 1. Cosa dire di artisti come Emilio Vedova, Arnaldo Pomodoro, Michelangelo Pistoletto? “Sono dei grandi maestri semplicemente perché hanno continuato a guardare avanti!” Spingersi fin qui non per imporsi l’innovazione per essere a passo con i tempi, come molti hanno pensato, ma per portare a compimento la propria missione poetica. “Non potete preoccuparvi di coloro che parlano male” perché inconsapevoli, ignari, indifferenti di fronte alle NOVITA’. Ci troviamo ad essere vittime di un sistema egoista, annientatore, un “Saturno che divora i figli”, non lontani dall’allusione di Goya al tiranno Ferdinando VII. La sua personale, al seguito, è un racconto che partendo dagli anni ’75 del Novecento con il sublime “Poeta” approda ai nostri giorni con le innovative sperimentazioni del digitale, offrendo una visuale inedita per un percorso unico. 

 [ Gianna Panicola ]

Claudia Marchetti

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