Siamo entrati nel clima delle festività e si fa sempre più pressante il rito obbligato delle letture ‘natalizie’. Al di là dei classici d’ordinanza, delle poesie di repertorio e delle narrazioni – canoniche o dissacranti che siano – sul Natale e dintorni, un autore che andrebbe felicemente (ri)scoperto in questo periodo è Antonio Russello, per la sua singolarissima ‘teoria’ della natività di Gesù in terra siciliana. Di temperamento schivo e poco mondano, Russello è uno di quegli irregolari che popolano silenziosamente i margini del paesaggio letterario del secondo Novecento isolano, e che meriterebbero di essere riabilitati o almeno salvati dall’oblio e dalla rimozione. Nato a Favara nel 1921, si trasferisce presto in Veneto dove è vissuto fino alla morte nel 2001. Autore tra l’altro di alcuni testi teatrali, lo scrittore siciliano pubblica diverse opere di narrativa – tra cui il romanzo mondadoriano del 1960 La luna si mangia i morti, con l’avallo di Elio Vittorini, che rimane il suo libro forse più conosciuto e fortunato.
Gesù è nato in Sicilia è il primo titolo della raccolta di racconti Siciliani prepotenti di Russello, la cui prima edizione risale al 1963, e che la casa editrice trevigiana Santi Quaranta ha meritoriamente ristampato nel 2006. Il racconto è una sorta di fiaba allegorica, dal tono tendenzialmente grottesco, scritta in una lingua popolare e al contempo imaginosa. Fin dalle prime righe si avvalora l’ipotesi a dir poco suggestiva che Gesù abbia scelto di nascere elettivamente in Sicilia: “Gesù, non ancora nato, forma ancora incorporea, si cercava un luogo dove gli piacesse nascere e non so se, dietro una parola suggeritagli in un’orecchia dal Padre, se per altro, con bel taglio d’ala e un bel volo d’angelo, falciò tutto il cielo d’Italia e scese in Sicilia”. E così, pur mantenendo per tutto il filo della narrazione la sua essenza di “spirito incorporeo”, Gesù approda a Gela e si mette a peregrinare per alcuni paesi dell’isola, in cerca di apostoli, scortato da alcune ineffabili figure locali dai nomi tanto favolosi quanto sicilianamente ingiuriosi (Mezzanàtica, Pisciapietra, Scannaporci, Spennacardilli), che gli fanno conoscere la proverbiale accoglienza dei siciliani. Gesù viene infatti invitato a mangiare in tutte le case dei luoghi che visita, fino a raggiungere Favara in cui si consuma da decenni una faida sanguinosa tra due famiglie mafiose. A un certo punto Gesù capisce che quella in cui si trova non è terra di perdono né tanto meno di redenzioni, e rendendosi conto della difficoltà di trovare un Giuda attendibile per la sua parabola, si rivolge sconfortato al Padre, che gli suggerisce di partire per la Palestina: “Ché in Sicilia, chi nasce con un vestito logoro non lo lascia, e ci vuole morire dentro per riconoscenza”.