“Marsala ingrata e irriconoscente”: intervista esclusiva a Giuseppe Garibaldi

Francesco Vinci

Gratta e Vinci

“Marsala ingrata e irriconoscente”: intervista esclusiva a Giuseppe Garibaldi

Condividi su:

domenica 23 Aprile 2023 - 07:00

L’appuntamento è al Museo garibaldino, naturalmente, ma di lunedì, a porte chiuse, al riparo da visitatori indiscreti. Entro per l’oscura intercessione di un guardiano corrotto e attraverso la lunga galleria di cimeli, fotografie, ritratti, testimonianze. Finalmente raggiungo il luogo dove si trova il fantasma mai pacificato di Giuseppe Garibaldi, quasi una stanza segreta a cui si può accedere soltanto per passaparola. A ricevermi è una badante dall’accento esotico che si fa chiamare Anita per esigenze di scena, ma nessuno sa quale sia il suo nome di battesimo. Così mi ritrovo dinanzi un uomo che si porta addosso i segni gloriosi e fatali di un ultracentenario condannato al giovanilismo perenne, l’immancabile camicia rossa ormai stinta dai troppi lavaggi e quel che resta della barba ulteriormente incanutita di tutti i ritratti.

Generale Garibaldi, è un piacere e un onore…

Lasci perdere questi risibili convenevoli da cronista di provincia. Sappia che ho accettato di riceverla solo perché sono un assiduo lettore di “Marsala C’è”. A nessuno concedo apparizioni, né tanto meno interviste. E non mi chieda come tutti un selfie: sono nato troppo presto per queste cose, e adesso è troppo tardi e finirei per rovinarmi l’iconografia. Sono decrepito e stanco e, come vede, imbalsamato più dalla gotta che dalla gloria, con una presunta ferita di guerra alla gamba e all’orecchio sinistro, come prevede la famigerata canzoncina, schiacciato sotto il peso morto della Storia.

Mi perdonerà l’emozione e lo stupore di trovarmi di fronte all’Eroe dei due mondi. Quindi Garibaldi esiste davvero, in carne e ossa?

Nemmeno questa volta ci salverà la sana retorica, amico mio. Mi dicono in effetti che sono stati scritti fiumi di inchiostro più o meno indelebile sulla mia epopea. Ma alla fine che cosa sono diventato nella cultura di massa? Un pezzo da museo, con tanto di didascalie, un toponimo qualunque, materiale per ginnasiali e mitografi, un monumento Kitsch sul quale ogni tanto vengono a defecare i piccioni, qualche omonima trattoria, lo stemma fumoso del mio toscano, un brand per l’ennesima operazione di marketing. Sì, è vero, ci fu un tempo in cui ero presenzialista, come si dice in questa epoca, ma avrei fatto bene a rispondere “Disobbedisco!” a tutte le chiamate alle armi, come mi ha fatto dire saggiamente Emilio Isgrò, qualche anno fa. Sapesse quanto invidio la chiaroveggenza degli artisti! Ché poi, a guardare certi politicanti oggidiani, era assai meglio tenerci stretti i Borboni.

Ammetterà, però, che è stato lei stesso ad alimentare il suo mito, tanto che la sua figura continua a essere, nonostante tutto, piuttosto controversa.

Lei dice? Sì, non posso negarlo, le definizioni sulla mia persona non si contano: eroe, corsaro, avventuriero, schiavista, dittatore di Sicilia. Mi hanno dato addirittura del pirata, del poeta e del donnaiolo, manco fossi un nobile antenato di Julio Iglesias o di Matteo Messina Denaro. Forse sono stato un po’ tutte queste cose, lo ammetto, ma io parlavo della mia ricezione futura, della mia discreta fortuna postuma. Crede sia sempre gratificante stare sulla bocca di tutti? Prenda, per esempio, la mia affermazione più celebre, quella che tutti nel bene e nel male mi attribuiscono, ma che nemmeno io ricordo bene se l’ho detta davvero: “Qui o si fa l’Italia o si muore”. Alla fine questa faccenda dell’Italia unita mi ha conferito la mia parte di immortalità, secondo i miei piani, questo sì. Ma penso piuttosto alle parole profetiche di quel tale, uno scrittore che mi sarebbe piaciuto leggere, se solo avessi avuto la ventura di averlo come contemporaneo: “piuttosto che condividere l’immortalità con certa gente, preferirei un oblio in camere separate”.

Garibaldi che cita Kraus…? La cronologia non mi torna.

Come vuole che passi il tempo un patriota in disarmo, un eroe nazionale ormai squattrinato, costretto a vivere chiuso nei manuali di Storia, quando non fa le sue comparsate alle manifestazioni rituali? Recupero i classici che non ho potuto leggere in vita e guardo con distacco allo spettacolo un po’ deprimente del mondo attuale, come si addice proverbialmente ai santi, ai navigatori, agli eroi e ai poeti. Qualche volta scrivo al mio amico Francesco Crispi, non avendo più notizie di sua moglie, e ho provato a contattare Giuseppe Mazzini, ma non mi ha mai risposto: dev’esserci rimasto male perché a un certo punto gli ho rubato la scena nel bel mezzo del Risorgimento. Cosa si aspettava da questa intervista, la solita inflazionatissima lezioncina sul valore della memoria storica? Una rivelazione sul vero colore della mia cavalla? Guardi, non mi chieda più nulla. Mi lasci solo con la dannazione dei miei ricordi e dei miei misteri.

Mi dica almeno qualcosa sullo sbarco dei Mille a Marsala.

La spedizione dei Mille? La Storia procede sempre per approssimazioni, ma mi pare che in realtà fossero 1089. Almeno questo è quello che c’è scritto su Wikipedia, anche se, le dico la verità, io non li ho mai contati. Mi giunge voce ogni anno del rito ufficiale e un po’ indolente delle manifestazioni garibaldine. Subito dopo lo sbarco, se la memoria non m’inganna, Marsala si mostrò diffidente ma tutto sommato ospitale, come sempre con lo straniero di turno. I miei reumatismi rammentano ancora quella notte all’addiaccio sotto i portici del futuro Palazzo VII Aprile. Nel tempo, però, Marsala si rivelò città ingrata e poco riconoscente. Forse il più grande limite, per un eroe d’altri tempi come me, è stato quello di compiere le sue gesta eroiche senza il favore dei social.

Eppure qualche decennio dopo i marsalesi le hanno dedicato un monumento risarcitorio.

Non mi faccia parlare! Lo sa che ho dovuto aspettare un secolo e mezzo, proclami e amministrazioni di tutte le specie, per vedere finalmente erigere quel monumento, e per di più bruttino, alla memoria dei Mille in quella che sarebbe diventata universalmente la “città del vino e di Garibaldi”? Marsala è la mia maledizione e Garibaldi per i marsalesi una rendita perenne! Poi gli storici si chiedono perché ci stiamo spostati a Calatafimi. Per anni ho dovuto accontentarmi di un piedistallo e tante buone intenzioni. Pensi che persino il buon Vincenzo Consolo, su questa cosa del mancato monumento al sottoscritto, ci avrebbe scritto più tardi una delle sue pagine più esilaranti. Quanto ai Mille e rotti, non so che fine abbiano fatto quei prodi compagni d’avventura. Nessuno si è fatto più vivo da allora, nemmeno un messaggio in bottiglia, una cartolina, il tag di qualche lontano discendente. Questo non lo scriva, via, ma le confesso che se dovessi di nuovo sbarcare in Sicilia mi dirigerei direttamente al porto di Salemi.

Francesco Vinci

Condividi su:

0 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Commenta