A che servono i baci se non si danno

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A che servono i baci se non si danno

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Saturday 07 March 2020 - 06:30

“A che servono i baci se non si danno?” si domanda retoricamente Vivian Lamarque in una poesia dove viene evocato uno scenario, ironico e fiabesco, in cui è proibito baciarsi. Quasi a prefigurare l’apocalisse ragionata che stiamo attraversando in questi giorni per l’emergenza coronavirus, dopo il vademecum governativo nel quale si raccomanda tra l’altro alla popolazione di evitare abbracci, baci e strette di mano, e di rispettare la distanza di almeno un metro tra una persona e l’altra. L’idea stessa di un decreto che regolamenti gli abbracci e i baci di un’intera nazione, infatti, per quanto saggia e inevitabile in piena epidemia, mi pare al contempo traumatica e irresistibilmente comica. Un provvedimento necessario, sia chiaro, ma che contiene in sé tanto il profumo buono dei rimedi della nonna quanto il carattere distopico e coercitivo dei regimi orwelliani.

Quello di militarizzare le effusioni e di rendere tendenzialmente fuorilegge un abbraccio è oltretutto un espediente carico di implicazioni pedagogiche e narrative, per cui si potrebbero configurare situazioni grottesche, degne del migliore Ionesco, ma in ogni caso di difficile rappresentazione – se anche i teatri sono destinati, a quanto pare, a rimanere chiusi. Penso ai tanti abbracci clandestini, consumati in famiglia, nel segreto dei letti coniugali, alle coccole virali tra genitori incoscienti e figli ignari del pericolo a cui è arrivato il momento di insegnare che i baci non sono più un premio ma un castigo. Immagino squadre del buon costume sanitario che avranno il compito di sorvegliare poliziescamente i contatti fisici tra congiunti e stabilire col codice alla mano il giusto grado di intimità in base al rapporto di parentela e al vincolo di amicizia. Nei mezzi di trasporto e nei locali pubblici potrebbero prima o poi spuntare cartelli segnaletici come VIETATO ABBRACCIARSI.

Tempi duri, dunque, per chi credeva di lenire con l’Amore, rigorosamente in maiuscolo, tutti i mali del mondo: abbracci e baci, oltre che precari e fittizi, potrebbero addirittura diventare letali. Eppure – secondo una di quelle infografiche che circolano sul web e nei circoli sportivi di ispirazione cattolica – un abbraccio di almeno venti secondi rilascerebbe l’ossitocina, un ormone che aiuta a combattere lo stress, e rafforzerebbe il sistema immunitario. Pare che un abbraccio sia un antidolorifico naturale e aumenti, al bisogno, i livelli di autostima. Si prevede, di conseguenza, un periodo di ulteriore depressione generale. Soltanto gli anaffettivi certificati si salveranno perché in questo periodo potranno contare su un alibi di ferro. Ai possibili benefici dell’abbraccio si dovrà ora aggiungere tempestivamente il rischio di contagio come pericolosa controindicazione.

L’invito a moderare baci e abbracci tra adulti consenzienti potrebbe comunque avere conseguenze inconfessabili anche sulle nostre consolidate abitudini sessuali, con la progressiva abolizione dei preliminari che – diciamocelo in tutta franchezza – sono sempre stati un’inutile perdita di tempo. L’aspetto tutto sommato positivo di questo clima di diffidenza epidermica è che ci farà rivalutare seriamente le gioie asettiche dell’amore platonico e del cybersex.

D’altronde le pestilenze storicamente hanno sempre generato conflitti tra gli uomini. In una società di principi non più sani ma sanificati come la nostra, saranno comunque garantiti i rapporti formali e i cuoricini su facebook: ci si limiterà a calcolare il perimetro delle nostre solitudini, a misurare ulteriormente la distanza tra noi e gli altri, a renderci competitivi anche nel tracciare limiti e confini. A imparare l’arte di vivere diversamente separati, ancora più serrati nel recinto autosufficiente dei nostri affetti presunti. Tanto che quando usciremo proverbialmente da questo tunnel bianco, lungo e asfittico come quello di una risonanza magnetica, abbracciarsi tornerà forse a essere la forma più eroica di disobbedienza civile.

Francesco Vinci

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