L’arte di sopravvivere al coronavirus

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L’arte di sopravvivere al coronavirus

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Saturday 29 February 2020 - 06:30

In una delle sue più spassose e irriverenti bustine di Minerva, Come evitare malattie contagiose, Umberto Eco elenca una serie di categorie ad alto rischio di infezioni batteriche e virali – tra cui “i moribondi che baciano il crocifisso” e “i condannati a morte (ove la lama della ghigliottina non sia stata opportunamente disinfettata prima dell’uso)” – alle quali dispensa alcuni preziosissimi consigli per tenere lontano il contagio. Ai deputati si raccomanda, per esempio, di non intrattenere rapporti con i mafiosi per non trovarsi a dover baciare la mano del padrino e si sconsiglia l’affiliazione alla camorra per via del rito del sangue. Particolarmente utile il suggerimento di non farsi rapire da pastori sardi e terroristi, dal momento che i rapitori usano incautamente lo stesso cappuccio per più rapiti. Ma l’ammonimento forse più severo riguarda la popolazione mondiale: “Evitare di trovarsi in zone colpite da testate nucleari: di fronte alla visione del fungo atomico si tende a portare le mani alla bocca (senza averle lavate!), mormorando mio Dio!”.

L’allarmismo goliardico di Eco, con i suoi esilaranti avvertimenti d’ordinanza, sembra attagliarsi in modo perfetto a queste settimane di isteria collettiva per il timore, senz’altro fondato, del coronavirus: un clima febbricitante, una febbre sospetta, una spirale di tensione clinicamente sorvegliata per cui si respira col fiato corto un’atmosfera vagamente apocalittica. Sui social si è perennemente immersi in una specie di antivigilia della tragedia annunciata in cui ciascuno di noi compie il suo fatale gesto scaramantico o attraversa la sua più o meno ragionata paura con l’esorcismo che gli è più congeniale: chi si affanna a cercare e condividere ossessivamente informazioni, chi parla della peste di Manzoni e Camus lavandosi energicamente le mani tra un copiaeincolla e l’altro, chi affida le sue preghiere a una boutade, chi simula indifferenza o camuffa le sue preoccupazioni postando soltanto fritture miste di pesce e musica dodecafonica. Chi riferisce di essersi messo in autoquarantena: la prospettiva ideale di ogni buon misantropo, oltre che una condizione tutto sommato invidiabile, perché finalmente ci si può dedicare ai solitari arretrati, alla cucina casalinga e all’agognato studio del finlandese. O si può finire senza più contrattempi il penultimo libro di Elena Ferrante, iniziato quattro mesi prima.

L’aspetto davvero mostruoso, però, è che abbiamo cominciato a guardarci a vicenda con un certo irragionevole sospetto. Del resto, già in tempi di sterilizzazione sommaria, Marcello Marchesi ci aveva avvisato che “nessuno è innocente: tutti abbiamo passato un raffreddore a qualcuno”. Com’è potuto accadere che anche i nostri amici più cari, i vicini di casa, i parenti prossimi e lontani, i conoscenti con cui abbiamo condiviso intimità e apericene, siano diventati all’improvviso un inquietante ricettacolo di virus? Dividerci pacificamente in untori e monatti – secondo l’antico e rassicurante schema civile – serve a poco, perché stavolta non si capisce bene a chi potrebbe toccare l’appiccicosa parte degli untori. E così sono assolutamente banditi baci profondi, abbracci di circostanza, effusioni al limite del petting, strette di mano troppo prolungate. Non è consigliabile nemmeno scambiarsi un segno di pace con gli sconosciuti durante le sante messe: un rito già di per sé precario e che ora rischia di diventare pure dannoso per la salute pubblica. Attediamo un apposito provvedimento su come dobbiamo regolarci con i cuoricini su facebook: io, per pura precauzione, da un paio di settimane agli amici virtuali invio soltanto emoticon con la mascherina chirurgica. Quanto ai soliti nemici da ammorbare, potrebbe presto configurarsi una singolare lotta all’ultimo starnuto.

Sembrano persino momentaneamente sospesi appelli umanitari o hashtag per manifestare la nostra sensibilità verso la possibile estinzione dei pangolini nel continente asiatico. D’altra parte, quando la situazione è grave ed è pure seria, non c’è retorica parallela che possa metterci al riparo nemmeno da noi stessi. Restare umani sembrerebbe una questione secondaria, visto che al momento la priorità è quella di restare sopra ogni cosa sani e salvi. Né valgono a nulla, in periodi come questo, i classici e pressoché infallibili rimedi della nonna: si sa che il contagio percorre a volte sentieri capricciosi e del tutto imprevedibili. C’è una pagina di Valerio Magrelli che racconta di quella volta in cui, a furia di usare preventivamente al bar l’accorgimento di girare le tazzine di caffè per afferrare il manico con la sinistra e mettere sulle labbra la parte meno usata, ha finito per beccarsi la mononucleosi da un mancino.

Così, da buon codardo a norma di legge, una settimana fa mi sono sottratto – sia pure con un certo malsublimato imbarazzo – all’abbraccio di un vecchio amico originario di Shangai. Per fortuna, qualche giorno dopo, è stato lui su una via del centro ad accelerare il passo salutandomi cordialmente, ma da una distanza di presunta sicurezza, per rassicurarmi del fatto che i virus non hanno pregiudizi razziali, e che l’amicizia e la diffidenza sono sacre e reciproche. Anche un prozio in età sospetta di Sesto San Giovanni mi ha detto che in questi giorni cerca come può di evitarsi, tende a frequentarsi poco, sempre distanziato di un paio di metri da sé stesso, si sta alla larga pure quando dorme, e non si guarda mai allo specchio senza l’ormai inesorabile mascherina.

Lo scenario da thriller fantascientifico si confonde con le immagini belliche di supermercati con gli scaffali della pasta completamente vuoti, a dimostrazione del fatto che anche di fronte all’imminenza della fine del mondo siamo un popolo che osserva un salutare regime di dieta mediterranea. Zia Isabella, telepreoccupatissima, mi ha fatto sapere di aver triplicato la sua già soverchiante scorta settimanale di saponette alla calendula e prugne cotte. Nei siti porno è stato messo in quarantena obbligatoria il genere ‘asian’ e nelle chat di incontri la richiesta tassativa di ‘sesso protetto’ ormai alluderebbe più all’uso della mascherina che a quello del preservativo. Forse è arrivato per i più avveduti il momento di rivalutare seriamente le gioie asettiche del cybersex. Da alcune zone del profondo Nord mi è giunta addirittura voce di alcuni amici che hanno smesso con la cannabis e si fanno più igienicamente di amuchina, come nella prima maniera dei film di Almodóvar, tanto da indurre molti onesti piccoli spacciatori a passare dalle droghe leggere ai disinfettanti per le mani. Che nel frattempo hanno raggiunto, naturalmente, un valore di mercato (nero) superiore a quello del platino e dei pinoli biologici.

Francesco Vinci

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