Ho letto da qualche parte sul web che il cosiddetto Black Friday ha avuto origini nell’America degli anni ’20 e che cade il giorno dopo la festa del Ringraziamento: l’ultimo venerdì di novembre. Non mi stupisce, dunque, che abbia il potere di chiamare compulsivamente a raccolta molti più fedeli di qualunque festa comandata e preveda dei veri e propri pellegrinaggi di massa verso mete raggiungibili persino a piedi, ma che d’incanto – per un giorno all’anno – si fanno esotiche e ambitissime, come centri commerciali, negozi di telefonia e di abbigliamento e persino librerie. L’isteria collettiva di correre ad aggiudicarsi a prezzi stracciatissimi secondi e terzi smartphone, corsi trimestrali di pilates o giacche primaverili fuori stagione – che andranno a impinguare il già assortito guardaroba di riserva – si tinge di fervori mistici più ancora di quanto accade puntualmente per i regali natalizi. E in effetti, per il periodo dell’anno in cui si celebra, anche nei paesi dell’Unione Europea a capitalismo testimoniato, il Black Friday anticipa di qualche settimana il febbrile shopping natalizio e dà al potenziale acquirente l’illusione dell’affare ottimo e irripetibile, senza quella fastidiosa sensazione – tipica di tutti quegli acquisti spesso obbligati e un po’ coatti che si fanno per le festività – di aver comprato un regalo perfettamente inutile.
A dispetto del suo nome, in sostanza, il Venerdì Nero non evoca più soltanto atmosfere gotiche, risvolti stregoneschi, lupi mannari e maledizioni nostrane, ma nella percezione comune si è trasformato progressivamente in una sorta di ennesimo giorno parafestivo in cui al vecchio mito del benessere si sovrappone quello ancora più ricattatorio del risparmio. Certo è piuttosto curioso che sia stato scelto proprio il nero per colorare un giorno come questo, quasi a sottolineare che c’è sempre un qualche lutto perenne da elaborare. O forse semplicemente perché il rosso e il verde erano già occupati su altri fronti.
Pare che soltanto negli ultimi tempi la ricorrenza del Black Friday si sia diffusa in Italia, con tutto il suo munifico campionario di offerte, occasioni uniche e percentuali di sconto da beneficenza, fagocitando anche le più antiche e collaudate strategie di marketing nazionali su cui il consumatore medio italiano poteva contare, se Marcello Marchesi – già negli anni ’70 – scriveva: “Durante la settimana degli elettrodomestici ho comprato una sedia elettrica veramente conveniente”.
Ormai è scientificamente dimostrato che esiste un rapporto strettissimo tra lo shopping e la depressione. Fare degli acquisti, si sa, è un antidepressivo naturale – come la cioccolata, i gatti siamesi e il sesso di gruppo. Ho una seconda cugina nubile che riesce a sconfiggere le sue crisi depressive quotidiane solamente con delle lunghe sessioni di shopping presso i negozi del centro. Il suo disturbo ha mandato in confusione persino gli psicoterapeuti che non riescono a decidersi se ce l’hanno in cura per una generica e manifesta disforia o per un’evidente sindrome da shopping. Verrà il giorno in cui cominceremo ufficialmente a soffrire di patologie ulteriori e non meno invalidanti come la Sindrome extrapiramidale da Black Friday o la Febbre del Venerdì Nero.
Quanto a me, devo confessare che da qualche tempo c’è un frullatore a immersione che mi fissa dalla vetrina sorridente di una nota catena di elettrodomestici. Ne possiedo già uno, naturalmente, ma chi mi garantisce che sul più bello non mi tradisca, magari proprio nel bel mezzo dei preparativi del cenone di capodanno? Sarebbe molto più prudente – come mi insegnò la compianta zia Isabella, accumulatrice seriale per vocazione – avere sempre almeno un doppione di qualsiasi cosa per affrontare serenamente gli imprevisti e i tempi difficili. E poi il solo pensiero di possedere un nuovo e più affidabile frullatore a immersione mi riconcilia con l’universo.
Se mi affretto a chiudere questo pezzo, forse sono ancora in tempo per correre a comprarlo a un prezzo ragionevole. D’altronde, il Black Friday arriva solo una volta all’anno.
Francesco Vinci