Di cosa scrivere in questo pezzo? Come giustamente osserva Umberto Eco nella sua prima, storica Bustina di Minerva: “Le idee migliori vengono per caso. Per questo, se sono buone, non sono mai del tutto tue”. Sarà questa la ragione per cui, qualche ora prima di stilare diligentemente il mio pezzo settimanale, mi metto a pensare ad altro, e mi affido a ciò che per pura convenzione chiamiamo caso, sperando che arrivi in modo del tutto accidentale la classica buona idea. A volte è sufficiente una distrazione minima per sentire arrivare da una qualche sponda della tua mappa cerebrale il giusto richiamo. Ma più spesso è una lotta corpo a corpo con un demone a sua volta distratto che non si ricorda di dover assolvere la sua funzione. E così la domanda iniziale si fa sempre più pressante e minacciosa.
Contrariamente a ciò che si crede, infatti, si tratta di illuminazioni di terra e possono venire a visitarti nelle circostanze più impensate. Conosco un drammaturgo che riesce a cogliere le sue intuizioni più felici e la massima concentrazione di pensieri soltanto quando è chiuso in bagno – con l’unico dispendioso inconveniente di dover raddoppiare, nei momenti più prolifici, le scorte domestiche di carta igienica. Così, per quanto i suoi testi siano tutti solennemente improntati all’impegno civile, finiscono poi per non avere nessun rispetto per l’ambiente.
Cercare fanaticamente un appiglio nella cronaca o nell’attualità politica – come facevano i buoni e seri corsivisti di una volta, con l’aria di chi fiuta un tartufo in un campo di erbacce – non sempre dà risultati soddisfacenti. Pur essendo una miniera inesauribile di tracce, notizie, più o meno esilaranti sollecitazioni, l’attualità politica fa sempre più genere satirico a sé stante: c’è ormai poco da chiosare. Anche l’antica pratica di confidare nelle ore notturne che – secondo una leggenda diffusa soprattutto tra le matricole universitarie – dovrebbero essere le più feconde e vocate alla scrittura, è in fondo una strategia il più delle volte fallimentare. La notte porta più consiglio ai poeti ossianici e agli astronomi che ai poveri titolari di rubriche giornalistiche.
Sebbene esista una nobile e ragionata bibliografia sull’orrore della pagina bianca, non tutti hanno il coraggio esemplare di confessarlo, ma la stasi creativa è un fatto concreto e paralizzante, un tormento al limite della fisicità, che può riguardare qualsiasi addetto ai lavori. Il blocco dello scrittore, al netto di ogni posa metaletteraria, è un tunnel che non si riesce ad arredare a dovere. E il problema di non sapere cosa scrivere è un dramma ‘professionale’ con cui fanno consapevolmente i conti, prima o poi, tutti gli scriventi di ogni ordine e grado. Una specie di disperazione bianca, afasica, magari amplificata dall’urgenza di onorare un impegno o rispettare una commissione, alla quale non riuscirà a sfuggire nemmeno il più scaltro, metodico e autodisciplinato dei trafficanti di parole. Succede all’onesto cronista alla ricerca affannosa di notizie, che non potrà nemmeno attaccarsi, a sua discolpa, a un aforisma di Kraus: “Non avere un pensiero e saperlo esprimere: questo è ciò che fa di uno un giornalista”. Succede al versificatore di aspettare invano la cosiddetta ‘ispirazione’. Succede persino al narratore seriale di attraversare i dinieghi e l’avarizia affabulatrice dei suoi stessi personaggi. Che sia il bianco malinconico e vertiginoso di una pagina cartacea o il vuoto abbagliante di un documento Word, il luogo che precede la scrittura è sempre popolato da fantasmi capricciosi che appaiono e scompaiono secondo un copione non scritto. Appunto.
C’è una frase attribuita a Bukowski, piuttosto abusata sul web, che sentenzia: “Scrivere del blocco dello scrittore è sempre meglio che non scrivere affatto”. Sarà pure vero, ma a me pare, alla fine, la solita vecchia scappatoia. Un espediente antico e un po’ furbastro: quando c’è una scadenza che incombe, e tu sei a corto di idee o di argomenti, non ti rimane che scrivere della tua mancanza di idee o di argomenti. E così il pezzo si scrive magicamente da sé. Io però non ci casco. E continuo a pormi senza tregua la domanda iniziale: di cosa scrivere in questo pezzo?
Francesco Vinci